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Una giornata, un'era

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diegoclimb
view post Posted on 10/12/2009, 17:37





UNA GIORNATA, UN’ERA

1 – L’ACQUISTO
Il mio lavoro mi costringe spesso a spostamenti giornalieri nelle regioni del nord Italia e non sempre l’automobile, per quanto confortevole, si rivela il mezzo adatto. Oggi lascerò la mia casetta a quattro ruote in un parcheggio vicino alla stazione, e con il treno arriverò a Bologna dove devo incontrare delle persone alla fiera dell’edilizia. I biglietti sono già comprati tramite il sito delle ferrovie e ritirati un giorno prima per non trovarmi sorprese al momento della partenza; manca qualche minuto e mi chiedo come diavolo occuperò il mio tempo nelle due ore e mezzo di viaggio. Entro nel negozietto vicino ai binari che vende giornali e piccoli giocattoli e in un angolo trovo uno scaffale con qualche libro.
Di solito per comprare un libro mi reco in libreria, mi piace camminare lento tra gli scaffali carichi, captare l’atmosfera silenziosa e attenta, accorgermi che anche altre persone stanno facendo la stessa cosa e acquisteranno probabilmente un testo completamente diverso da quello che acquisterò io, ma lo fanno nello stesso modo.
Questa volta invece, in un posto dove tutti vanno veloci, dove i treni si fermano giusto il tempo per farti salire e poi via rapidi verso la meta, mi adatto alla situazione e prendo un libro a caso, lo scelgo solo per il colore arancione della copertina e per le dimensioni che lo fanno ideale per la tasca del mio giubbone.
Sul binario 1 le ruote ferrate dell’Eurostar stridono rallentando sulle rotaie; è il mio. Salgo e cerco il posto prenotato, carrozza 3, posto 35, vicino al finestrino. Appena il tempo di levarmi il giaccone, appoggiarlo nell’apposito vano sopra la mia testa e ancora prima di sedermi il convoglio riparte.
Non viaggio spesso in treno quindi mi attardo ad osservare. E’ una carrozza di prima classe e il vagone non è diviso in scompartimenti ma si presenta come un enorme pullman con tavolini pieghevoli davanti alle sedute foderate di blu; non c’è molta gente, dieci persone al massimo suddivise equamente tra i due sessi, tutti adulti, nessun bambino, nessun anziano. Prima di sedermi incrocio lo sguardo con una distinta signora a qualche seggiolino da me, ci scambiamo un muto cenno di saluto, poi entrambi scompariamo oltre gli alti poggiatesta. Mi rialzo per recuperare il libro rimasto nella tasca e mi riaccomodo, penso che il viaggio sarà confortevole e adatto la mia posizione alla forma leggermente avvolgente dello schienale.
Nonostante la positività e la piacevolezza del momento non vedo l’ora di arrivare a Bologna, e non per incontrare i clienti in fiera.







2 – FACEBOOK
Pochi giorni fa, una sera, mia figlia mi chiese di vedere “le foto dove usavi il fucile”, cioè le fotografie scattate durante il servizio di leva appena ventisei anni fa. Pochi foglietti patinati che mi ritraggono con alcuni commilitoni nelle caserme di Orvieto, Aviano e Verona. Scorsi quegli scatti non senza un po’ di nostalgia, ricordando alcuni nomi dei ragazzi ritratti e mi accorsi però di un particolare: non c’era una fotografia con quel fante col quale feci amicizia. Ricordai che rimanemmo due mesi a Orvieto e poi entrambi fummo destinati a Verona, anche se in due caserme diverse e li ci perdemmo di vista senza mai più rivederci, come con quasi tutti i compagni di naja. Ma come si chiamava? Nonostante gli sforzi non riuscii a farmi tornare alla mente quel nome. Pazienza, non me ne dolsi più di tanto. Chiudemmo l’album e…buonanotte si va a nanna.
Quella notte sognai aerei da combattimento e carri armati e svegliandomi di soprassalto dopo una violenta esplosione…ecco nome e cognome Guido G.
Non ci potevo credere; quel nome nascosto in chissà quale angolo della mia memoria era spuntato fuori dal fumo di una cannonata. E non solo, con il nome mi ricordavo anche la città da dove veniva: Bologna.
Ciò che avvenne dopo è una diretta conseguenza.
Ormai l’ogiva di quel colpo sognato aveva fatto breccia nel mio cervello svegliandomi del tutto, così alle due di notte accesi il computer, cliccai sull’icona con la “f” bianca in campo blu ed eccomi nel tormentato e troppo frequentato mondo di Facebook. Trovai l’area “cerca amici” e digitai quel nome ritrovato; apparvero cinque contatti e uno era sicuramente lui.
La piccola fotografia del suo profilo non mentiva, pur con qualche anno in più non c’erano dubbi che fosse Guido. Subito avviai la richiesta di amicizia con un messaggio: “5° scaglione 1983, Orvieto, sei sempre uguale” il mio nome lo avrebbe visto nella richiesta.
Tornai a letto e nonostante le cannonate e l’eccitazione trascorsi una notte tranquilla.
Erano quasi le nove del mattino di quel sabato quando mi svegliai. Caffè veloce e via verso il pc. Ottimo, Guido aveva accettato la richiesta di amicizia, ma il suo messaggio di risposta mi deluse un po’. Si ricordava perfettamente del mio nome ma non aveva presente il mio volto; caspita, esattamente il contrario di ciò che era successo a me.
Colpo di genio e potenza dell’informatica; fotografai una foto di allora e gliela inviai via mail. Un successone, la visione di quello scatto riaprì i cassetti della memoria anche a lui e il desiderio di rivederci fu reciproco.
Lo misi al corrente che di li a pochi giorni mi sarei recato a Bologna e stabilimmo che l’avrei chiamato il giorno prima.







3 – IL LIBRO
Finalmente posso dedicarmi alla lettura, ma ahimè mi accorgo di aver acquistato uno di quegli inutili libri scritti dai comici della televisione, una raccolta di battutacce trite e ritrite che difficilmente mi faranno sorridere. Sconsolato faccio cadere le braccia sulle ginocchia piegate e il mio sguardo si perde oltre il finestrino. La nebbia avvolge il paesaggio e le gocce condensate corrono sul vetro in direzione opposta a quella del treno. Torno a guardare davanti a me, ma la stoffa blu del sedile di fronte non mi comunica nulla. Nel tentativo di tornare a guardare la copertina, abbassando la testa mi accorgo che c’è qualcosa su quel sedile; mi sporgo leggermente oltre il tavolino e…sorpresa! Un libro. Qualcuno l’avrà dimenticato, oppure…ma certo, perché no; potrebbe trattarsi di quello strano scambio culturale che prevede di abbandonare un proprio libro in un luogo pubblico, chiunque lo può prendere, a patto di lasciarne uno suo: cross booking.
Non darei un mio libro a nessuno, figuriamoci abbandonarlo su un treno o in un bar. Ma stamani ho acquistato qualcosa che probabilmente avrei buttato.
Mi guardo intorno e non vedo indizi che mi suggeriscano la presenza di altri passeggeri che l’abbiano lasciato momentaneamente incustodito per recarsi altrove, che ne so, alla toilette o ritirata, come ancora viene chiamata sui treni.
Bene. Mi sento autorizzato allo scambio. In questi tempi di virus pandemici prendo una blanda precauzione prima di maneggiare un oggetto che probabilmente è stato toccato da parecchie persone. Un po’ di gel antibatterico sul palmo della mano, friziono per bene e mi sporgo un po’ oltre il tavolino. Allungo le braccia verso quel regalo inatteso, come un bambino a Natale, lo afferro e mi accomodo un’altra volta sul sedile assegnatomi dal caso.
Si tratta di un libro di Roy Lewis e il titolo recita “Il più grande uomo scimmia del pleistocene”. Sono sicuro di averne già sentito parlare ma il nome dell’autore non mi dice nulla, il titolo invece mi ricorda qualcosa.
Estraggo il BlackBerry dalla tasca della giacca, mi connetto e digito “Roy Lewis” nel motore di ricerca della famosa enciclopedia multimediale. Il risultato è abbastanza deludente; data di nascita, di morte e i titoli dei tre libri scritti. L’ipertesto mi permette di cliccare sul titolo che mi interessa e trovo una breve descrizione.
“Il più grande uomo scimmia del Pleistocene è un romanzo di genere fantascientifico, scritto dal giornalista inglese Roy Lewis, che narra le vicende di un gruppo di cavernicoli dell’Africa centrale del tardo Pleistocene, le loro lotte per sopravvivere ed evolversi. Tutto però è esposto in modo umoristico, spesso facendo uso di anacronismi per scherzare su argomenti attuali che il lettore vede trasportati nell’Africa preistorica”. Ho voglia di leggerlo. Inizia il mio viaggio.



4 – LE TAPPE
L’altoparlante dello scompartimento, sebbene discreto, mi disturba proprio mentre mi rendo conto che la vera evoluzione di quegli ominidi è partita da quando si sono resi conto delle potenzialità del fuoco. Il treno sta per entrare nella stazione di Cremona. Io sto viaggiando in treno e loro dovevano camminare per kilometri per andare vicino ad un vulcano a procurarsi il fuoco se il loro falò davanti alla caverna si spegneva per una disattenzione.
Certo questo elemento così strano, caldo tanto da scottarsi se lo tocchi, aveva portato loro enormi giovamenti; non solo a livello fisico, essi infatti potevano difendersi dal freddo in maniera efficace, ma anche dominare sulle belve che prima di allora facevano banchetti dei loro nuovi nati e soprattutto sopraffare i gruppi di ominidi rivali scacciandoli dalle caverne migliori.
Quando sto per arrivare a Parma sento il profumo di pollo alla griglia; gli ominidi hanno scoperto che la selvaggina può essere cotta, insaporita con spezie, mangiata, ma soprattutto digerita con molta più facilità. Ed ecco che, scomparendo le inevitabili gastriti, i protagonisti di questo libro migliorano il loro umore, diventano meno violenti e si accorgono che possono compiere un altro passo essenziale verso l’evoluzione, cercare compagni e compagne in altri gruppi.
Ancora quell’altoparlante. Sono a Modena e ormai tutto è compiuto. Fanno la loro comparsa i primi utensili, gli archi, e gli intrighi amorosi. L’autore mi fa capire che gli ominidi si sono trasformati in qualcosa di molto più simile a noi: sapiens? Non lo dice, ma conclude la sua fatica con una frase lapidaria:
FINE DEL PLEISTOCENE
come a dire, adesso ha inizio la storia dell’uomo.
Chiudo il libro e guardo sorridente la copertina quasi a dirgli, mi sei piaciuto, ti ho letto in paio d’ore ed è già trascorso tutto il pleistocene.
Questa è sicuramente fantascienza, ma al contrario del solito, invece di essere proiettata nel futuro, si rivolge al passato; che bella idea che ha avuto questo Lewis.
Da cattolico quale sono non riesco ad accettare l’ultima finissima allusione dell’autore, ma capisco anche che all’epoca della stesura del libro non era chiaro come lo è adesso che l’uomo non discende dagli scimmioni del pleistocene. Tutte le ipotesi evoluzionistiche fatte in passato non hanno avuto riscontro in alcun anello di congiunzione tra i sapiens e i suoi presunti predecessori.










5 - BOLOGNA
Eccomi arrivato. Scendo dal treno e non posso fare a meno di pensare alla strage di qualche anno fa; erano violenti gli erectus, ma anche noi…
Di fronte al porticato della stazione il traffico impazzito mi riporta alla caotica realtà dei nostri giorni e mi chiedo da che parte arriverà Guido.
Una mano spunta dal finestrino di una Multipla nera, rispondo al saluto e l’auto si ferma nell’unica posizione possibile per non bloccare tutte le altre in transito. Ancor prima di accennare a salire Guido mi viene incontro, allarga le braccia e ci stringiamo in silenzio, in mezzo a tutto quel caos probabilmente sembriamo un fatto improbabile, come un unico papavero in un campo di grano. Ho la pelle d’oca, mi sto emozionando; da quanto tempo non saluto qualcuno abbracciandolo? Non lo so e non mi interessa, mi godo quel momento così intenso e intimo in mezzo a decine di persone che non vedo e non sento.
Decidiamo di passare un paio d’ore insieme a base di ricordi. Turni di guardia, poligono di tiro, persone che non abbiamo più visto, la caserma di Orvieto che non è più una caserma, divise d’ordinanza, la puntura nel petto, il sottotenente bastardo e via così fino a quando lui nota il libro che spunta dalla tasca del mio giaccone. Mi chiede di cosa parla e alla mia risposta esclama: “Il più grande uomo scimmia del pleistocene, l’ho appena letto”. Ci guardiamo stupiti per la coincidenza e cominciamo a fare delle considerazioni.
Abbiamo valutato come tanto il tempo trascorso dai tempi della naja a questo incontro, ma entrambi pensiamo agli ominidi e quel tanto tempo diventa solo un attimo nella storia del tempo. Il nostro chiccherio straripa dal suo corso e ci sorprendiamo ad osservare la terra dall’alto costringendoci a pensare che siamo circa sei miliardi di cosmonauti in viaggio verso l’ignoto sulla più bella navicella spaziale che esista…e non c’è nessuno ai comandi. Tramite noi uomini e la nostra sete di sapere, grazie a grandi menti che vogliono a tutti costi capire, l’universo ha preso coscienza di sé stesso e si tributa un grandissimo applauso, forse non tramite tutti gli uomini, ma io e Guido stiamo sicuramente battendo le mani.
Questi ragionamenti ci portano lontano e soprattutto mi accorgo troppo tardi che, tanto o poco che sia, il tempo passa, il cielo si sta già facendo buio. Il mio impegno alla fiera è saltato, è già ora di risalire sul treno.
Di nuovo un sincero e sentito abbraccio con Guido. Mi avvio verso l’ingresso della stazione, il mio treno è già li ad aspettarmi.
FINE DELLA GIORNATA



 
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pinnezen
view post Posted on 13/12/2009, 21:50




Quando leggo i tuoi racconti mi devo sempre ricordare che "sono racconti" perchè non verrebbe affatto difficile definire le tue storie come dei giorni realmente vissuti.
Si mi piace come scrivi.
Bravo Diego
 
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diegoclimb
view post Posted on 14/12/2009, 08:29




Diciamo che traggo ispirazione da fatti realmente vissuti in prima persona, poi ci ricamo sopra ;)
 
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2 replies since 10/12/2009, 17:37   80 views
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